Referendum acqua

Un record assoluto: con un milione e 400 000 firme raccolte in tutta Italia, approda il referendum per decidere in merito alla gestione dell’acqua. Nella storia italiana delle consultazioni referendari, non c’era mai stata una partecipazione così alta.

L’acqua è uno dei beni più preziosi cui l’uomo necessita. Essa si trova in natura e viene portata a noi tramite acquedotti, tubazioni, trasporto gommato ecc.
Secondo una recente risoluzione dell’Onu, il diritto all’acqua potabile «è un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani».
Senza acqua non solo non c’è vita ma non c’è nemmeno sviluppo economico perchè per produrre qualsiasi cosa c’è bisogno di enormi quantitativi d’acqua (per la produzione di un’automobile si stimano 150’000 litri di acqua consumata).

Il 22 marzo 2011 si è svolta la giornata mondiale dell’acqua. Durante questa celebrazione si è posta l’attenzione alla carenza crescente di risorse idriche nelle zone urbane ed alla necessità d una sensibilizzazione collettiva rispetto l’utilizzo di questa preziosa risorsa. Il problema della carenza dell’acqua non è tanto legata ad una diminuzione della risorsa, spiega il sottosegretario alle Nazioni Unite, quanto piuttosto agli sprechi, alla cattiva gestione ed all’elevato tasso di inquinamento acquifero.

Referendum Acqua privata - acqua pubblica

(Nota bene: la gestione dell’acqua è tutto quel meccanismo che si occupa di raccogliere la materia prima (l’acqua) e di portarla a noi, nelle nostre case. L’acqua minerale in bottiglia non è un bene che rientra in tutte le nostre spiegazioni da qui in avanti. Essa è privata ed ha una gestione problematica e di necessità completamente differenti)

L'oro blu

La questione acqua è un problema di scala mondiale e forse per comprendere meglio la situazione bisogna allargare l’esame dei fatti a livello planetario. Economisti, politici e scienziati concordano su un fatto: i conflitti del XXI secolo saranno combattuti a causa dell’oro blu; questo in base alla previsione che tale risorsa, entro il 2025,
sarà insufficiente a coprire il fabbisogno di una popolazione che fra 15 anni raggiungerà gli otto miliardi di individui e a questo va aggiunta la pessima gestione delle risorse idriche disponibili.
Basti pensare che nel solo territorio cinese, contenente il 40% delle risorse idriche mondiali, l’acqua potabile non è accessibile alla totalità della popolazione e questo perché si predilige l’utilizzo a scopo industriale piuttosto che agricolo tralasciando problemi quali l’inquinamento di fiumi e bacini idrici.
Le tensioni legate alla disponibilità di acqua si registrano già da anni in medio oriente; la Turchia è da tempo in conflitto con Siria e Iraq per il controllo delle risorse idriche di Tigri ed Eufrate, fondamentali per territori la cui situazione potrebbe rappresentare un’anticipazione del futuro mondiale.

perdite e rincari acqua privata e pubblica

Il territorio italiano è composto da aree geografiche ricche di risorse idriche ed aeree che ne sono parzialmente sprovviste. Prendiamo due esempi per comprendere meglio  le diverse situazioni: Milano e la regione Puglia. La prima è un’area metropolitana con la tariffa al metro cubo più bassa d’Europa, una gestione molto efficiente e con una fortuna: disporre in abbondanza di acqua nel sottosuolo. La Puglia, d’altro canto, è costretta a portare l’acqua anche per centinaia di chilometri di distanza, dovendo quindi affrontare una più vasta ed onerosa gestione della risorsa.
La nostra rete idrica nazionale versa in uno stato quasi disastroso: circa il 47% di acqua va perduto prima di arrivare a destinazione. Particolarmente allarmante è notare che tra le regioni con la più alta dispersione d’acqua, vi figurino regioni nelle quali esplode ogni anno l’emergenza idrica (Puglia, Sardegna, Molise e Abruzzo). Tra le città che sprecano più acqua ci sono Roma, Catania e Bari ma anche città del nord come Torino e Padova, con una dispersione superiore al 50% (ogni 100 litri se ne perdono 50).

Da sempre la gestione pubblica dell’acqua, anche in altri Paesi, è problematica. Dove il pubblico fallisce, il ruolo dei privati può dare un contributo sostanziale alla soluzione del problema.
Il nodo è economico: lo Stato non ha le enormi risorse per ammodernare la rete idrica, lascia dunque l’onere ai privati.
Il 18 novembre 2009 si è così arrivati con un voto di fiducia, al decreto Ronchi, un ampio pacchetto di «disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari» in cui è stata “infilata” la norma per la privatizzazione della gestione delle acque. Il decreto non è il primo in materia di privatizzazione dell’acqua (Legge Galli del 1994) tuttavia obbliga a mettere in gara tutti i servizi legati all’acqua ed accelerarne la trasformazione in S.p.A. Il controverso articolo 15 dispone infatti che le società a gestione pubblica (efficenti e non) dovranno cessare entro il 31 dicembre 2011, lasciando spazio ad una gara pubblica di aziende private.

 

Lo scontro tra i favorevoli e contrari si focalizza sullo scopo e merito della legge. I primi sostengono che il decreto mantiene l’acqua un bene pubblico (mantenendo le fonti un bene pubblico) e se ne privatizza solamente la gestione. I secondi, al contrario, affermano che colui che si occupa della gestione della rete di distribuzione (tubature e trasporto dell’acqua), ne detiene anche l’effettiva proprietà applicando le tariffe che decide (poco importa se sulla carte c’è scritto “bene pubblico”).

Il privato gestisce il bene come imprenditore che per definizione vende un bene solo se ne trae un profitto. Il privato, per quanto sia in buona fede, deve sottostare alle logiche di mercato ed il suo punto di riferimento sono gli azionisti/investitori, non gli utenti.
L’imprenditore è inoltre interessato al profitto di breve periodo, incompatibile con le necessità di conservazione e di buona gestione sul lungo periodo.
In sostanza questa norma si crede porti ad aumenti perché se si chiede ai privati di investire, inevitabilmente devono rientrare dell’impegno finanziario e garantirsi un proprio reddito.

Dove sono subentrate le grandi società di gestione, l’efficenza delle reti non è migliorata mentre le tariffe sono aumentate.
Il problema dell’acqua non va tuttavia ideologizzato. Ci sono grossi interessi ed enormi somme di denaro in gioco. C’è pubblico efficiente e non, c’è privato efficiente e non, ci sono società miste efficienti e non. L’importante è mantenere l’acqua un bene primario pubblico, garantire una buona gestione del servizio ed offrire la migliore qualità alla minor tariffa possibile per i cittadini.
Il 12-13 giugno andate a votare e scegliete in coscienza la via da prendere. Segnate SI ad entrambi i quesiti sull’acqua se volete eliminare i guadagni minimi, l’obbligo della gara e l’affidamento della gestione dell’acqua ai privati, segnate NO se siete d’accordo su questa norma e volete lasciarla attiva e produrre quindi i suoi effetti.

Scheda di colore rosso. Quesito 1 sull’affidamento servizi idrici:

“Volete voi che sia abrogato l’art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall’art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e dall’art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea” convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?”.

Scheda di colore giallo. Quesito 2 sui costi dei servizi idrici:

“Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?”.

 

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