Referendum nucleare

Sul nucleare tra gli italiani c’è grande confusione e paura, dovuta ad un inadeguato livello di informazione e chiarezza, spesso fomentata dai media e da interessi socio-economici.

I recenti avvenimenti alla centrale di Fukushima non hanno fatto altro che aumentare la confusione, la strumentalizzazione dell’evento (da una parte e dall’altra) ed ha riportato in vita un clima che ricorda il post-Chernobyl.
Il Giappone spaventa tutti perché è il Paese che ha investito di più sulla sicurezza nucleare, ambientale (terremoti) e sociale. Per questo motivo il Governo ha approvato una moratoria (sospensione) di un anno per iniziare nuovamente la discussione del ritorno al nucleare, con la speranza che questo possa servire a ridurre la tensione sullo specifico quesito referendario. E’ chiaro però che il quesito non verrà posticipato. Dovrete votare il 12-13 giugno 2011.

Sull’energia nucleare potremmo scrivere libri e libri a favore o contro tale scelta; non arriveremmo tuttavia ad una soluzione definita. Con questa pagina si vuole fornire una base su cui approfondire l’argomento, formarsi un opinione personale e votare infine il referendum.

La legge Sviluppo del 2009, varata dall’attuale Governo, sancisce il nostro ritorno al nucleare. Il Governo dovrà disciplinare la localizzazione di centrali nucleari sul territorio nazionale, individuare sistemi di stoccaggio e deposito definitivo delle scorie radioattive e i siti potenzialmente interessati. La legge prevede anche l’istituzione dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, col compito di regolamentare e sorvegliare le attività concernenti l’energia nucleare ed i suoi rifiuti radioattivi.
Il Governo prevede di costruire circa 10 centrali nucleari sparse in tutto il territorio ed iniziare i lavori entro cinque anni. Nel caso più ottimistico e roseo dei termini (non considerando ritardi, autorizzazioni e proteste locali), la prima centrale sarà terminata in dieci anni. I primi kWh prodotti nei due anni successivi.

Nucleare votare si o no

Dopo lo stop del Governo al nucleare, dovremo ancora votare il referendum abrogativo su questo tema? La risposta è si perchè…

L'energia

L’approvvigionamento energetico è un problema fondamentale di qualsiasi nazione in quanto qualsiasi attività umana richiede energia in diverse forme, ad esempio: serve calore per riscaldare, benzina per i trasporti, elettricità per tutte le applicazioni elettriche e così via. Nel bilancio energetico di una nazione, quindi, compariranno le fonti di energia primaria, ossia:

  • combustibili fossili (gas naturale, petrolio, carbone);
  • fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico, solare, geotermico, biomasse);
  • nucleare;
  • energia elettrica importata.

Queste possono poi essere trasformate nelle fonti di energia secondaria, dette anche “vettori energetici”, che sono:

  • derivati di carbone e petrolio (ad esempio la benzina);
  • energia elettrica prodotta;
  • idrogeno

Queste fonti energetiche vengono poi destinate agli usi finali secondo molteplici combinazioni, e queste non necessariamente prevedono un passaggio attraverso l’energia elettrica: si pensi ad esempio ai trasporti (che rappresentano un terzo del consumo nazionale di energia) per i quali i “vettori energetici” sono per lo più i derivati del petrolio, oppure si pensi ai riscaldamenti (altra voce dominante tra i consumi finali) per i quali prevaletemente si utilizza direttamente la fonte primaria (il metano). L’energia elettrica è quindi solo una voce del bilancio energetico ed è su questo che si inserisce il dibattito sul nucleare. In termini di energia primaria l’Italia importa l’85% del suo fabbisogno, mentre in riferimento al fabbisogno di energia elettrica, l’Italia importa circa il 15%.
Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica si può fare un confronto tra la situazione italiana e quella media dei paesi industrializzati. Si osserva così che l’Italia:

  • produce la maggior parte dell’energia elettrica da centrali termoelettriche (utilizzando come fonte primaria gas naturale e carbone), in linea con quanto fanno gli altri paesi;
  • rispetto agli altri paesi, produce una quota consistente di energia idroelettrica grazie alle favorevoli condizioni geografiche;
  • d’altro canto produce poca energia eolica e solare rispetto anche a paesi in condizioni geografiche sfavorevoli rispetto alle nostre;
  • ovviamente, non si produce energia elettronucleare.

A questa fotografia della situazione attuale si devono aggiungere alcuni aspetti riguardo gli sviluppi futuri. Innanzitutto la disponibilità di fonti non rinnovabili è ovviamente limitata. A tal proposito le stime sulle quantità di combustibili disponibili non sono univoche e dipendono da molti fattori; indicativamente, dei numeri plausibili di disponibilità vanno da qualche decina d’anni per petrolio e gas naturale fino a un centinaio per il carbone. Come detto però questi non sono dati certi e condivisi, rimane comunque il fatto che le fonti non rinnovabili sono limitate, quindi un piano energetico di una nazione dovrebbe tenerne conto. Da questo punto di vista la Germania è il paese più attivo, ma anche la Comunità Europea, ha imposto dei vincoli ai Paesi membri tramite la nota direttiva “20 20 20” che per l’Italia impone l’obbligo di raggiungere il 17% sul totale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020 (attualmente siamo all’8,8%, dato essenzialmente dall’idroelettrico).

La situazione Italiana come descritta è aggravata dal fatto che il costo dell’energia elettrica è particolarmente elevato rispetto alla media europea. Su quest’aspetto chi sostiene la reintroduzione nucleare afferma una tale scelta ridurrebbe tale costo, opinione sostenuta dalla tesi largamente condivisa secondo cui l’ampliamento del ventaglio di fonti energetiche favorisce lo stabilizzarsi del mercato dell’energia. D’altra parte, visto che il prezzo di mercato del kWh è influenzato da una molteplicità di fattori (come particolarità del mercato delle fonti primarie, regimi fiscali, evoluzione tecnologica, ecc) e non esiste una relazione diretta tra prezzo del kWh e percentuale di energia elettrica prodotta tramite centrali nucleari. Inoltre, c’è chi evidenzia come l’eventuale reintroduzione del nucleare nel nostro Paese potrebbe non cambiare di molto le cose visto che, di fatto, l’Italia già utilizza una considerevole quota di energia elettronucleare data dalle importazioni da Francia e Slovenia ed un nostro ritorno al nucleare potrebbe non far altro che aumentare di poco questa quota.

La scelta di reintrodurre la produzione di energia elettronucleare in Italia si deve inserire nel sistema energetico sopra citato, ed è in relazione a questo che si deve basare una corretta discussione sui pro e contro di tale scelta in quanto gli effetti sono interconnessi con tutti gli altri fattori che costituiscono il sistema energetico. In questa discussione, come in tutte le discussioni riguardanti tematiche energetiche, si deve tener presente che l’unica vera energia pulita al 100% è l’energia risparmiata, ogni altra scelta ha sia aspetti positivi che negativi da valutare in relazione al contesto in cui si inserisce. Con riferimento alla reintroduzione del nucleare si possono quindi fare le seguenti considerazioni.
Innanzitutto occorre una valutazione sul ruolo che avrebbe l’energia nucleare. Come detto il soddisfacimento del fabbisogno energetico in Italia come nella maggior parte dei paesi esteri (Germania, Spagna, USA, giusto per citare qualche nome) è affidato per la maggior parte all’energia termoelettrica prodotta a partire da gas naturale e carbone. Secondo gli addetti ai lavori è quindi con questa tipologia di energia che si deve confrontare il nucleare, in quanto la tecnologia attuale non consente alle energie rinnovabili di coprire percentuali elevate di fabbisogno energetico, come dimostrano anche i paesi più virtuosi in materia.
Le fonti rinnovabili sono infatti soggette alla disponibilità della fonte primaria (esempio: sole), quindi non disponibili con continuità (mentre, al contrario, per una centrale termoelettrica è sufficiente che vi sia il combustibile per garantire la continuità). Un dettaglio non di poco conto è anche il loro basso rendimento, ossia la quota di energia elettrica prodotta è piccola rispetto all’energia in ingresso.

È altresì da evidenziare come in molti paesi (con qualche eccezione, come la Francia) la produzione di energia elettronucleare difficilmente supera il 20% del fabbisogno di energia elettrica (gli USA, ad esempio, sono al 10%, la Germania al 15%). L’industria del nucleare, inoltre, da anni ormai è rallentata: la stragrande maggioranza delle centrali attive nel mondo ha più di 20 anni, gli Stati Uniti non hanno più approvato alcun progetto di nuova costruzione di centrali nucleari dal lontano 1979.

La sicurezza

La questione più importante in una centrale nucleare è la sicurezza. Il dibattito sulla questione è molto acceso ed è dovuto all’estrema pericolosità del materiale radioattivo presente nel nocciolo della centrale, nonché alla residua ma rilevante radioattività delle scorie. L’aspetto di maggior impatto riguardante la sicurezza è dato dall’eventualità di un incidente grave. Gli effetti di un grave incidente nucleare sono devastanti, con conseguenze anche per le generazioni future. Fino ad oggi l’unico caso così catastrofico è stato quello di Chernobyl, dove un mix di gravi errori umani unito ad arretratezza tecnologica hanno provocato la fusione del nocciolo. Quanto sta accadendo a Fukushima, invece, è dovuto ai danni causati dal terremoto e sopratutto dal successivo maremoto, innescando una serie di problematiche che hanno condotto alla liberazione di materiale radioattivo. La situazione è in evoluzione. Nella migliore delle ipotesi il materiale radioattivo liberato è in quantità sicuramente non paragonabili a Chernobyl, ma altrettanto sicuramente estremamente dannosi, nella peggiore si potrebbe verificare la temuta fusione del nocciolo.
La dannosità di questi eventi (più altri minori non citati), sembrerebbe sufficiente per condannare questa tecnologia, ma una valutazione esauriente deve considerare ulteriori fattori. Gli incidenti accaduti riguardano tutti centrale datate, la centrale di Chernobyl inoltre era risaputo come adottasse una tecnologia poco sicura. Si presume che centrali di nuova costruzione adottino le tecnologie cosiddette di “III generazione”, le quali prevedono un radicale cambiamento nella gestione di sicurezza. Gli addetti del settore indicano le centrali di III generazione come “intrinsecamente sicure”, ossia dotate di sistemi di sicurezza che, nel caso in cui qualcosa non funzioni come previsto, si attivano spontaneamente secondo semplici principi fisici (ad esempio la gravità) in grado di arrestare le reazioni nucleari senza l’intervento di sistemi di sicurezza comandati da sistemi elettronici o elettromeccanici, eliminando di fatto l’ipotesi di “guasti ai sistemi di sicurezza”.
Questo, unito alle moderne tecnologie in ambito ingegneristico, porta i sostenitori del nucleare a ritenere le centrali nucleari di III generazione come sicure, evidenziando come nel progetto delle centrali si considero eventi naturali avversi come terremoti o attentati terroristi anche con aerei. Le voci opposte, invece, mettono in dubbio questa sicurezza evidenziando come nel caso di errori progettuali o errori in fase di gestione possano portare ad incidenti importanti.
A questo punto occorre fare una precisazione sul concetto di sicurezza: la certezza assoluta che “tutto vada nel verso giusto” non potrà mai esserci. Quando una tecnologia è definita sicura si intende come “ragionevolmente sicura”. Quando si pensa ad un evento dannoso in una centrale nucleare è ovvio pensare ai casi gravi che tutti conoscono, che sono eventi caratterizzati da una grande “magnitudo”, ossia la cui entità dei danni è enorme. Si tratta comunque di eventi poco frequenti. Si è soliti invece trascurare i danni che possono verificarsi a seguito di eventi avversi in impianti di produzione di energia elettrica da fonti “tradizionali”. Ad esempio, potrebbero verificarsi (e i casi purtroppo sono molti) danni a seguito di esplosioni di serbatoi di gas, petrolio o carbone, come anche a seguito di incidenti riguardanti centrali idroelettriche, tutti casi avvenuti in maniera più o meno grave, anche in Italia, la cui magnitudo non è paragonabile con un incidente nucleare ma la cui frequenza di accadimento è certamente maggiore. Morale di questo ragionamento è, appunto, l’inesistenza del concetto di sicurezza in senso assoluto, ma solo in senso relativo, in relazione al ventaglio di soluzioni tecnologiche disponibili. Sta alla Politica (con la “P” maiuscola), alle autorità, ai tecnici e a tutti i cittadini informarsi, valutare, decidere e verificare affinché venga fatta sempre la scelta più sicura in ogni contesto.

Le scorie

Problema scorie nucleari

Direttamente collegato a quanto appena detto vi è la questione delle scorie. Una centrale nucleare produce del materiale di scarto della reazione che, seppur si tratti di piccole quantità, è estremamente pericoloso a causa della radioattività che emette. Le emissioni radioattive proseguono per migliaia d’anni, una quantità di tempo che in ottica umana equivale a dire “per sempre”. Per il loro smaltimento servono quindi dei depositi ove tali scorie possano rimanere isolate dal resto del mondo per un tempo di fatto illimitato. A questo proposito preoccupa il fatto che allo stato attuale non esista alcun luogo al mondo ove poter stoccare in maniera definitiva le scorie, esistono solo deposti temporanei (ove il termine temporaneo si può riferire anche a centinaia d’anni, un tempo elevato, ma comunque non sufficiente per questo tipo di rifiuto). Esistono tecnologie in grado di ridurre la pericolosità delle scorie in modo da richiedere poi dei depositi meno vincolanti per il loro smaltimento, ma non vi sono ancora garanzie riguardo l’applicabilità di queste tecnologie.
L’Italia non ha ancora risolto il problema delle scorie delle centrali nucleari che possedeva. Questo è un problema sociale, ambientale ed economico. Si pensi che mandare in Inghilterra il combustibile nucleare della centrale di Garigliano (Caserta) per il riprocessamento e la loro custodia, ci è costato circa un miliardo e 600 milioni di euro. Il controllare che le radiazioni non escano da quello stesso impianto di Garigliano, ci costa 2 milioni di euro l’anno. Lo smantellamento è previsto però nel 2024 al costo di 350 milioni di euro.
Il problema delle scorie rischia quindi di tramutarsi in un problema riguardante le generazioni future per un tempo indeterminato. Anche in questo caso, tuttavia, una visione completa della pericolosità delle scorie nucleari si ha solo considerando anche le “scorie” delle altre fonti di energia, si pensi ad esempio agli inquinanti emessi durante le combustioni dei combustibili fossili.

Altro punto focale nel dibattito sul nucleare riguarda la disponibilità di uranio. L’uranio, come il carbone ed il petrolio, è soggetto ad un inesorabile deperimento delle riserve. Come già detto nel caso dei combustibili fossili, le stime sulle quantità disponibili sono discordanti e soggette a variazioni; inoltre, nel caso del nucleare, gli sviluppi tecnologici influiscono molto in quest’aspetto. Solo per un idea del tutto indicativa, proseguendo con l’attuale consumo di uranio, la disponibilità di uranio può coprire un periodo che va da qualche decina al centinaio d’anni. Nel caso siano attendibili le stime più “limitanti”, per le centrali costruite ora si porrebbe il problema di un loro utilizzo per tutta la vita utile: i tempi di approvazione del progetto e costruzione di una centrale sono, ad esser ottimisti, pari ad almeno 10 anni. La vita utile di una centrale può indicativamente essere di 30 anni. E’ chiaro che se non vi fosse più disponibilità di uranio da prima del 2050-2060, non si riuscirebbe a sfruttare appieno la centrale. Questo ragionamento è tuttavia pesantemente contestato da chi si occupa di nucleare, evidenziando come sia basato su stime non veritiere riguardo la disponibilità di uranio.
Un discorso direttamente collegato a questo, che spesso viene affrontato nei media, è legato al prezzo di mercato dell’uranio. Spesso si sente dire che l’aumentare del prezzo dell’uranio che presumibilmente si verificherà porterà ad un conseguente aumento dal prezzo dell’energia prodotta. Si tratta però di una valutazione errata, come riconosciuto anche da chi si oppone al nucleare. Si ha infatti che nel caso dell’energia nucleare, nel calcolo del costo del kWh, la parte riguardante l’ammortamento dei costi di impianto della centrale (costi fissi) è di gran lunga più grande del costo di produzione (costi variabili), questo è dovuto agli enormi costi di impianto e di smantellamento rispetto alle altre centrali. Quindi le oscillazioni, anche grandi, del prezzo di mercato della materia prima (uranio) hanno ripercussioni trascurabili nel prezzo del prodotto finito (l’energia elettrica).

L'uranio

Quanto esposto può essere sufficiente per una visione riassuntiva della questione nucleare. Vi sono tuttavia altri aspetti ugualmente importanti che si possono approfondire, di seguito brevemente esposti.

Si è detto come la fase di produzione di energia elettronucleare sia pressoché esente da emissioni di gas serra. L’impatto complessivo in termini di emissioni climalteranti di una centrale nucleare va però fatto con riferimento all’intero ciclo di vita della stessa. Lo stesso ragionamento si estende altre alle altre fonti di energia, tradizionali o rinnovabili, per le quali, considerando appunto l’intero ciclo di vita, nessuna è esente da emissioni di gas serra. Anche qui purtroppo non esistono stime di emissioni condivise, e ci si limita anche in questo caso a sollevare la questione rimandando al lettore la possibilità di approfondire l’argomento.

 

A conclusione della trattazione si può fare una considerazione sul dibattito così come viene posto nei media, ossia un confronto tra energia nucleare ed energie rinnovabili. Un confronto istruttivo sul tema non dovrebbe partire da posizioni di pregiudizio e dovrebbe avere come obiettivo comune quello di arrivare in un futuro il più prossimo possibile ad un sistema energetico basato su fonti il più possibile “pulite” e rinnovabili o più semplicemente “sostenibili”. Spesso i detrattori della tecnologia nucleare tendono ad evidenziarne in maniera non corretta i soli aspetti negativi, decontestualizzando l’argomento, e per di più con la convinzione che tecnologie come il fotovoltaico o l’eolico siano caratterizzate da soli aspetti positivi (a tal proposito giova far presente che una filosofia di supporto al nucleare proprio per motivi di salvaguardia dell’ambiente può essere condivisa o meno, ma non si tratta di un ragionamento infondato). Dall’altro lato i forti sostenitori del ritorno al nucleare ritengono (a ragione o meno) che questa sia l’unica strada percorribile per sostenere i fabbisogni energetici di una nazione, evidenziando come le fonti rinnovabili, essendo di natura stocastica, non possano garantire una fornitura di energia elettrica adeguata. Da questo lato forse si tende a sottovalutarne le potenzialità, soprattutto in ottica futura: basti pensare ai passi da gigante che si son fatti in vari ambiti tecnologici negli ultimi anni; se le tecnologie rinnovabili subissero la stessa spinta il futuro potrebbe riservare piacevoli sorprese.

L’Italia chiaramente non deve considerare il nucleare come un’alternativa al rinnovabile. Il nucleare deve essere un tassello da inserire nel gioco per migliorare la situazione. Da decine e decine di anni non esiste un piano energetico a lunga scadenza, un connubio di scelte ed investimenti che ci porti ad un minimo di indipendenza, riduzione delle emissioni e costi prevedibili. Serve un piano nazionale di intervento per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio pubblico ed una cultura del risparmio energetico, sana cura dimagrante per il Paese.
Bisogna quindi effettuare una scelta consapevole dei pro e dei contro sul nucleare ma sopratutto contestualizzare la scelta all’Italia. Un conto è costruire, gestire e controllare impianti nucleari in un paese efficiente, solidale ed onesto, un conto è farlo in un paese che non sempre ha brillato su tali fronti. Un conto è volere la centrale, un altro è volerla solo a casa d’altri.
Il 12-13 giugno andate a votare e scegliete in coscienza la via da prendere. Segnate SI al quesito sottostante se volete eliminare la possibilità del ritorno al nucleare, segnate NO se siete d’accordo su questa norma e volete lasciarla attiva e produrre quindi i suoi effetti.

I pareri

C'è una cosa che non riesco a capire, come mai nessuno solleva mai il problema per esempio delle ceneri da carbone che sono milioni e milioni di tonnellate

Chicco Testa, presidente Forum Nucleare

Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo noi, molto presto lo faranno gli americani, com'è accaduto del resto per il computer vent'anni fa.
 

Carlo Rubbia, fisico

Sa quando è stato costruito l'ultimo reattore in America? Nel 1979, trent'anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l'arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro e che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l'uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie.

Carlo Rubbia, fisico

Scheda di colore grigio. Quesito (non è ancora stata comunicata la nuova versione modificata dalla Corte di Cassazione):

“Volete voi che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del decreto-legge 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?”

 

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